gli ideologi dell'era post ideologica

20.07.2015 13:31

 

 

Gli ideologi dell'era post ideologica 

 

 

La Storia, suprema maestra della vita, ci ha insegnato che le ideologie finiscono sempre per tradire i loro scopi originari impantanandosi nelle sabbie mobili degli interessi personali e della conseguente corruttela. Questo quando le cose vanno bene

 

- Francesco Cosimato -

 

 

Chi ha un numero significativo di anni sulle spalle ricorderà com’erano duri e puri gli ideologi degli anni Sessanta e Settanta. Sembravano i nipotini spirituali di Girolamo Savonarola, tanto erano rigorosi nel declamare le loro giaculatorie intellettuali, ma non finirono bruciati in piazza come il monaco domenicano fiorentino, andarono in pensione con ricchi vitalizi e, quando ci lasciarono serenamente, ci toccò pure ascoltare i panegirici della loro vita meravigliosa sulla televisione di Stato. Ora che siamo nell’era post ideologica continuiamo a dover ascoltare discussioni prettamente ideologiche invece che cercare di risolvere qualche problema di natura pratica. Nuovi ideologi nascono anche se non hanno bisogno delle ideologie che tanto andavano in voga nell’Ottocento e nel Novecento, si tratta di nuovi pensatori con la dottrina incorporata, oltre che con un ego smisurato. Senza particolari pretese scientifico - didattiche, quest’articolo si propone di sintetizzare il passaggio dal fallimento delle ideologie al fallimento delle post - ideologie

La Storia, suprema maestra della vita, ci ha insegnato che le ideologie finiscono sempre per tradire i loro scopi originari impantanandosi nelle sabbie mobili degli interessi personali e della conseguente corruttela. Questo quando le cose vanno bene, perché quando le ideologie predicano soluzioni radicali, di solito gli ideologi iniziano a far rotolare le teste degli avversari, così dopo possono arraffare meglio e con calma tutto quel che vogliono. Nel secondo dopoguerra c'era ancora chi diceva di rifarsi al liberalismo, la cui esperienza storica ci aveva dato una monarchia costituzionale in cui le libertà personali erano veramente poche. Cercavano di rimanere sulla breccia magnificando il capitalismo per avere rapporti con le banche, ma le banche li avrebbero presto mollati per seguire forze politiche più cospicue in termini di presenza nelle aziende di Stato.

C'era chi aveva cercato di mettere insieme il liberalismo ed il cattolicesimo, ma riuscì solo a partorire un mostro che sul piano ideale studiava il compromesso storico, ma sul piano pratico metteva le mani su qualsiasi cosa si potesse arraffare. Gli ideologi lo descrivevano come un partito democratico che si ispirava all’idealità cattolica, come se il cattolicesimo fosse una specie di aerosol da fare solo quando serve. Quel partito si chiamava Democrazia Cristiana, ma non è chiaro quanto s‘ispirassero all‘idealità cattolica le partecipazioni statali, la nazionalizzazione dell‘energia elettrica, il divorzio e l‘aborto. Di una cosa però i “diccì” erano sicuri: il comunismo sarebbe arrivato e bisognava accordarsi con loro, fare compromessi, passare gradualmente al nuovo regime. Era l’atteggiamento della vacca al macello che, invece di farsi sparare in fronte, preferiva farsi tagliare un pezzettino per volta. Quando il macello comunista fu chiuso, per i democristiani iniziò la diaspora.

C'era poi chi si rifaceva al socialismo e voleva eliminare i privilegi della borghesia, ma riuscì solo a fare pastette con i “attolici democratici” e finì in galera, a meno che non fosse una specie di “dottor sottile che si voltava dall’altra parte quando arrestavano qualche amico suo. Gli ideologi socialisti magnificarono inizialmente Marx, però poi dovettero passare a Proudhon, per differenziarsi dai comunisti con i quali non riuscivano ad andare d’accordo per via di quella brutta storia della dittatura del proletariato. Siccome non avevano degli eroi di peso nella storia patria, ne adottarono uno, Garibaldi. Si limitarono a dimenticare la loggia massonica cui apparteneva e la sua fama da puttaniere bi-nazionale che passò dal “mal francese”, quando la sua città d’origine, Nizza, era italiana, al “male italiano”, quando Nizza divenne francese. Negli anni Ottanta i socialisti riuscirono a governare insieme ai democristiani, ma i loro ex amichetti comunisti li travolsero a colpi di inchieste. Il loro capo giace immeritatamente esiliato anche post mortem. Sembra che i socialisti siano spariti, ma in realtà colonizzano ancora vari partiti, il Partito Democratico e Forza Italia non sfuggono a questa regola.

C’erano poi i comunisti che erano tanti ed arrabbiati, dovevano realizzare il paradiso in terra, Lenin gli aveva spiegato in dettaglio cosa dovessero fare, ma c’era sempre qualcosa che andava storto. Durante la guerra civile avevano monopolizzato la scena, spesso facendo fuori i partigiani cattolici, oltre che gli ex fascisti non convertiti. Ma non riuscirono a portare l’Italia dall’altra parte del muro, si fecero fregare da De Gasperi nel ‘48. Erano bravi a declamare il materialismo dialettico scientifico che avevano imparato alla scuola di partito delle Frattocchie a Roma, campavano benino grazie ai rubli di Mosca, almeno fino alla caduta del muro. Negli anni ‘90 si dovettero arrangiare con le cooperative, che vanno avanti ancora oggi, anche se perdono colpi. L’unica cosa che i comunisti proprio non digeriscono sono le banche, l’unico giocattolo del genere che avevano tra le mani, il Monte dei Paschi di Siena, gli si è sgonfiato tra le mani ed è in piedi solo grazie ai soldi dei contribuenti.

I comunisti ci spiegarono che la colpa dei mali d’Italia era del capitalismo, dell’imperialismo, della Chiesa e delle forze reazionarie, anche se non c’era nessuno che si potesse opporre loro. Le facoltà di legge pullulavano di aspiranti “pretori d’assalto” pronti a colpire l’avversario a colpi di carte bollate. Le facoltà di Architettura si gonfiavano di “Archistar” in erba, quelli che avrebbero lasciato le nostre città in mano ai palazzinari. Anche se l’Italia non è un paese comunista ha delle periferie molto simili a quelle di tanti paesi dell’Est Europeo. Nel delirio ideologico di quegli anni si tralascia spesso il ruolo dei sindacalisti, i quali riuscirono ad elaborare i presupposti per lo stato di bancarotta continua e strisciante di cui godiamo oggi. Com’erano gagliardi e fieri i segretari della triplice sindacale quando urlavano nelle piazze che il salario era «una variabile indipendente» rispetto alla congiuntura economica. Con questa bella frase ci siamo fottuti tutto il nostro sistema produttivo, che è passato, armi e bagagli, in quei paesi in cui si sfruttano i lavoratori del luogo per metterlo in culo ai nostri. Il guaio è che il paese più capitalista e sfruttatore di oggi è la Cina, sarà che per i sindacalisti il destino è proprio beffardo e crudele.

In ogni caso, tutti gli anni abbiamo uno sciopero generale, soprattutto se il governo è di destra. Tutti gli anni abbiamo lo sciopero contro la riforma della Scuola, anche se il governo è di sinistra. Tutti gli anni abbiamo gli scioperi dei trasporti, quali che siano i sindaci d turno. Tutti gli anni scopriamo sindacati anche minuscoli dei settori più strani, ma che sono in grado di bloccare tutto senza che i cittadini abbiano dei servizi decenti. Tutti gli anni sentiamo qualche pensionato d’oro che si lamenta perché gli vogliono ridurre la pensione, ma i padri di famiglia non hanno cuore di guardare i faccia i loro figli che non trovano lavoro.

Dopo questo excursus storico un po’ bislacco, in cui abbiamo visitato tutta la galleria degli orrori del Novecento, qualcuno di voi mi dirà che si tratta di archeologia ideologica, oggi tutti i comunisti si affannano a dire che loro stessi non esistono più, a parte quei ragazzotti che vendono il giornale “Lotta Comunista” davanti alle università e, naturalmente, non considerando quei “bravi ragazzi” dei centri sociali che vanno in giro spaccando tutto sotto un tripudio di bandiere rosse, ma vestiti sinistramente di nero. Siamo nell’era della “società liquida” in cui non si comprano i dischi ma si scaricano le app musicali per poter pagare la musica.

L’ideologia è dunque morta? Basta ascoltare le blaterazioni sul cosiddetto reddito di cittadinanza per capire che lo spirito del Novecento è vivo e, purtroppo, cammina ancora tra noi. Gli ideologi di oggi hanno fatto rientrare dalla finestra il mito del comunismo dei beni, uscito dalla porta col muro di Berlino. Evidentemente c’è ancora gente in giro che pensa che sia possibile un mondo in cui ognuno lavora per intimo gaudio e lo Stato gli dà i mezzi di sopravvivenza. Bisognerà farsene una ragione, il nostro Paese continua ad essere una macchina in cui tutti vogliono gli optional, ma nessuno vuol mettere la benzina. Gli ideologi di oggi hanno scoperto la terra ed il rapporto con i nostri simili, sarà per questo che passano le giornate a dirci che dobbiamo essere più “social” e più “green”. Questo non vuol dire che gli ideologi abbiano preso la zappa in mano, se ne guardano bene e, men che meno, vuol dire che gli ideologi ti stringerebbero la mano se t’incontrassero per strada, lo fanno solo con quelli chic come loro.

Al tempo dell’Illuminismo c’erano le dame di carità e le confraternite benefiche, siccome si trattava di vecchiume clerico - borghese, abbiamo inventato la solidarietà e l’accoglienza a carico dello Stato per i clandestini, così siamo riusciti a creare dei carrozzoni manovrati dalla politica che speculano sulle disgrazie altrui ed ingrassano gli scafisti. Le associazioni non governative, dove lavorano quelli che studiavano nelle università dei baroni rossi, passano il tempo a sputarci in faccia perché siamo cattivi. A nessuno viene in mente che con le nostre tasse li manteniamo tutti, scafisti inclusi. Tutto nasce dal populismo di chi prima contava i voti nei seggi prima di dare posti di lavoro ed oggi conta i clandestini già nei barconi prima di fare i contratti di assistenza ai migranti. La solidarietà è quindi passata da una dimensione personale ad una istituzionale, con il risultato che gli ideologi hanno trovato di nuovo il modo di farsi mantenere da noi.

Ma la metamorfosi degli ideologi senza ideologia ha prodotto un nuovo fenomeno, quello del relativismo culturale che uccide qualsiasi fondamento della nostra vita. Oggi viviamo in una società in cui uno può scegliere di appartenere alla lista interminabile di orientamenti sessuali teorizzati dagli ideologi del gender, con il risultato di passar la vita a fare a cazzotti con la realtà che sta scritta nel DNA di ognuno di noi. In caso di problemi, immancabili, si può sempre dar la colpa agli omofobi, i cattivi di turno. Mi scuseranno gli ideologi se dico una cosa banale, ma ritengo che ci sia bisogno di una nuova classe dirigente che si focalizzi sul fatto fondamentale che la Società si regge anche sui doveri e non solo sui diritti, su di una coscienza morale e non solo sull‘assolutismo ideologico. Se si perdesse meno tempo a fare la teologia delle tasse e si cercasse di dare ai cittadini i servizi di cui hanno bisogno, forse ci risparmieremmo ore di trasmissioni inutili in televisione, fiumi d’inchiostro sui giornali e tantissimi tera - byte di fesserie su internet.