La bellezza delle tasse, la bruttezza dei servizi

25.11.2015 14:02

E’ difficile considerare come bellissime le tasse che servono a mantenere in piedi l’italico caravanserraglio 

 

- by Verdefoglia -

 

Correva l’anno 2008 e il ministro Tommaso Padoa Schioppa disse che le tasse erano una cosa bellissima. Da un punto di vista concettuale la cosa è sicuramente comprensibile, ma nella repubblichetta della casta dietro ogni affermazione ideologica e assoluta si cela sempre il tentativo di coprire la corruttela e il malcostume di un sistema che non funziona, che genera debito e che ipoteca il futuro dei giovani. Il populismo di tutti gli schieramenti si nasconde sempre dietro la tutela apparente dei diritti e sulla dimenticanza sistematica dei doveri. Non ho elementi di conoscenza diretta per dire se il defunto ministro fosse una persona positiva come sostenevano alcuni, o negativa come sostenevano altri, per cui non m’interessa, da una parte, rivangare commenti entusiastici e panegirici per persone in odore di santità, né, dall’altra, ripescare critiche feroci e insulti gratuiti. Il punto è evidentemente un altro. Il dibattito sulle tasse è senza fine, ma sempre basato sulla teoria, perché non si ha il coraggio di fare i conti della serva per cambiare rotta. Ci sono delle circostanze che rendono difficile considerare le tasse come una cosa buona. In Italia le tasse tengono in piedi un sistema che non offre servizi adeguati ai cittadini, si tratta di un pachiderma basato su una burocrazia della pubblica amministrazione priva di ogni buon senso e con la quale è difficile interagire. Insomma, se le tasse sono raccolte senza dare servizi adeguati ai cittadini, sarà difficile considerarle una cosa buona. Le tasse sono utilizzate per mantenere una casta politica su cinque livelli, Governo e Parlamento, Regioni, Province, Comuni e Circoscrizioni, più una pletora di comunità montane, autorità di settore ed organismi consultivi senza scopo. Qualcuno pontifica sul fatto che sono «i costi della democrazia», ma evidentemente non è chiaro ai più che democrazia non può voler dire che ogni organismo è pagato per esistere, ma non per decidere, non per lavorare, non per fare. E’ difficile considerare come bellissime le tasse che servono a mantenere in piedi tutto questo caravanserraglio. Le tasse vengono anche utilizzate per mantenere in piedi un sacco di aziende che, apparentemente private, sono in realtà di proprietà dello Stato, in tutto o in parte. Aziende che hanno il doppio o il triplo del personale delle aziende corrispondenti che private lo sono davvero. Anche in questo caso è difficile per il cittadino capire perché deve pagare tanto per mantenere in piedi un sistema che non funziona. Quando queste aziende perdono, cosa che capita abbastanza spesso, l’azionista deve colmare i “buchi”, cioè paga Pantalone. In astratto le tasse saranno anche bellissime, ma in questo caso non hanno lo stesso aspetto giacché tengono in piedi una galassia di aziende tra le quali annoveriamo Finmeccanica, le Ferrovie, la RAI, l’ENEL, Equitalia e, su tutto il territorio nazionale, una miriade di aziende municipalizzate che si occupano di spazzatura, acqua ed altro con i risultati che tutti siamo in grado di vedere in giro. Questo stato di cose si lega alle considerazioni precedenti sulla casta, la quale già tanto costa di suo e, oltretutto, piazza poi in queste aziende i galoppini elettorali che vogliono essere ricompensati dello sforzo fatto per eleggere il tale o il tal altro politico. In questi anni abbiamo sentito parlare dell’importanza degli “ammortizzatori sociali”, che evidentemente si pagano con le tasse, si tratta di un istituto che esiste in tutto il mondo occidentale, ma serve per soccorrere quella forza lavoro che altrove viene subito ricollocata affinché torni ad essere produttiva. Nel mondo occidentale nessun Paese tiene gli operai in cassa integrazione per un tempo troppo lungo. Le tasse, che continuano a essere bellissime, non possono essere la causa del “rigor mortis” dell’economia. Al tema degli ammortizzatori sociali si lega anche quello della previdenza, terreno spinoso perché tutti vogliono una pensione dallo Stato, ma non tutti sono disposti a pagarsela. La fantasia dei politici si è sbizzarrita a inventare termini che servissero a favorire i propri elettori senza che le generazioni future si accorgessero che il conto lo pagheranno loro. La prima invenzione “previdenziale”, che è una tassa per i giovani, è stata quella di concepire il sistema “retributivo” per il calcolo della pensione, cioè quel sistema che si basa non su cosa si è effettivamente pagato, ma sull’ultima retribuzione o sulla media delle più recenti retribuzioni. Ormai i nostri giovani lo sanno che il sistema retributivo se lo possono scordare: è un “diritto acquisito” solo per i loro nonni ed i loro genitori. Una seconda invenzione “previdenziale” sono i contributi “figurativi”, sparsi un po' ovunque nella pubblica amministrazione, che nessuno ha il coraggio di chiamare “sconti” o “abbuoni” e che, come il solito, i giovani che non trovano lavoro oggi dovrebbero pagare domani, chiamatela diritto acquisito o tassa, il risultato non cambia. Una terza invenzione “previdenziale” sono stati i due tipi di pensione, chiamati “d’anzianità” e “di vecchiaia”, forse per far credere che andare in pensione dopo diciannove anni, sei mesi e un giorno, cioè a quarant’anni, potesse rendere un individuo “anziano”, anche se non vecchio come uno di cinquantacinque o sessanta anni. La norma è stata abrogata, ma quelle pensioni le paghiamo tutti i mesi. Una quarta invenzione sono gli “scivoli” o “esodi” in base ai quali dei lavoratori ancora produttivi, ma non in età di pensione, sono posti per qualche tempo a carico dei contribuenti. Ogni fine anno ci sentiamo dire che siamo vicini al default e che le tredicesime e gli stipendi della pubblica amministrazione non potranno essere pagati se non si ottiene nuovo debito, eppure ci permettiamo di tenere a casa gente che potrebbe lavorare perché non siamo in grado di spostarla dove serve. Legando il tutto alle considerazioni precedenti sulla previdenza sociale, poi il governo si dimentica di queste persone e li trasforma in “esodati”, gente senza stipendio e senza pensione, ma di farli tornare a essere produttivi, evidentemente, non se ne parla. Accanto alle tasse ufficiali ci sono poi le tasse striscianti, tipo quelle che ci mettono nella bolletta energetica, con le quali ci fanno pagare lo smantellamento delle centrali nucleari e gli incentivi all’eolico o al fotovoltaico. Ognuno può pensarla come vuole sull’energia, ma non si può pensare di vivere senza di essa, visto che poi la compriamo comunque all’estero. Se proprio dobbiamo pagare in bolletta qualcosa che non è energia, almeno ci facciano pagare degli investimenti su una forma di energia che sia risolutiva. Si potrebbe andare avanti all’infinito, ma è evidente da tutto questo quadro si evince che le tasse non devono essere né belle, né brutte, devono solo finanziare un sistema che stia in piedi senza che la politica tenti di prevaricare l’aritmetica e ci renda i servizi che ci sono dovuti. Le discussioni che sentiamo da mesi sulla legge elettorale, sul rinvio dell’IMU e sul differimento dell’IVA sono solo inutili chiacchiere che ci porteranno alla bancarotta. Il giorno in cui noi elettori impareremo a votare politici che sapranno far di conto e tratteranno i nostri soldi così come sicuramente trattano i loro patrimoni personali, tutti noi saremo in grado di dire che le tasse sono bellissime, anzi, meravigliose.