La possibilità di nascondersi dietro a un nickname (pseudonimo) fa credere ai cyber bulli di poter rimanere anonimi. E in questo modo credono di poter dire e fare cose che non avrebbero il coraggio di esprimere e realizzare di persona

Abbiamo appena terminato di parlare della Millennial Generation, ed eccoci nuovamente a parlare di una generazione. Ma si tratta della più giovane, la cosiddetta Generazione Z anche conosciuta come quella dei Nativi Digitali. Stiamo parlando dei ragazzini nati dopo il 2000, i figli della Rete sempre alla prese con tablet e smartphone. iperconnessi, iperdigitali, ipertecnologici eppure… terribilmente fragili ed esposti ai pericoli del Web.
È quanto è emerso durante un corso di formazione permanente per giornalisti che ho frequentato poco prima delle ferie. Devo ammettere che questi seminari sono veramente utili per la nostra professione e interessanti anche a livello personale. In qualità di nonna di due giovanissime Native Digitali, sono molto attenta alle problematiche legate alla presenza dei minori in Rete.
Tra i relatori vi era anche Ivano Zoppi, presidente di Pepita Onlus, una cooperativa sociale che, tra le tante cose, si occupa anche di realizzare interventi formativi sulla tematica del cyber bullismo finalizzati alla prevenzione.
Il presidente Zoppi ci ha condotto attraverso un interessante, e per alcuni aspetti divertente, viaggio nel pianeta adolescenti e pre-adolescenti per cercare di comprendere un po’ meglio il loro mondo e le dinamiche che si innescano quando le normali attività di socializzazione e costruzione di relazioni per qualche motivo deviano verso territori pericolosi. Territori che sconfinano nel bullismo e, da qualche anno a questa parte, nel cyber bullismo.
Di là dalle caratteristiche che definiscono un atto di bullismo, quello che mi ha particolarmente colpito è stata la percezione di quanto possa essere devastante divenire il bersaglio di queste brutali aggressioni. Ma, soprattutto, mi sono resa conto di quanto possa essere difficile per un ragazzino od una ragazzina che già sta attraversando un’età discretamente destabilizzante, affrontare un problema che oggi non puoi nemmeno più isolare fuori della porta di casa, perché ti segue ovunque. Anywhere, Anytime è infatti il risvolto della medaglia dell’essere always on: tutta la bellezza e la comodità di poter disporre delle risorse della Rete, dell’essere iperconnessi, scoloriscono di fronte al dramma della pervasività di questi atti che non esito a paragonare a vere e proprie persecuzioni.
La possibilità di nascondersi dietro a un nickname (pseudonimo) fa credere ai cyber bulli di poter rimanere anonimi. E in questo modo credono di poter dire e fare cose che non avrebbero il coraggio di esprimere e realizzare di persona. Purtroppo la diffusione e la facilità di accesso a Internet rendono veramente devastanti le conseguenze degli atti di cyber bullismo, poiché i messaggi, le foto o i video inviati possono essere ritrasmessi e condivisi in modo esponenziale e in tempi ristrettissimi.
Per la vittima questo significa essere esposto alla gogna mediatica ed è un fardello pesantissimo da portare per un adolescente. Ciò che emerge da un sondaggio effettuato da Pepita Onlus è infatti la reticenza dei ragazzi a parlarne con i genitori o con un adulto qualsiasi, a partire dagli insegnanti per finire con il parroco o l’istruttore sportivo. Sono infatti convinti che gli adulti possano fare poco o nulla e quindi rinunciano a cercare aiuto.
Ciò che rende gli adolescenti ed i pre-adolescenti, particolarmente fragili ed esposti agli atti di cyber bullismo è il fatto che la Rete è diventata come una terza famiglia, che si va a sovrapporre a quella naturale ed a quella sociale rappresentata dagli amici.
Al web affidano le loro emozioni, le immagini, i video, i ricordi. Le nuove tecnologie assolvono funzioni ludiche, quali spazi virtuali ricreativi e di svago, partecipative, utilitaristiche quali la ricerca di informazioni ma anche e soprattutto sopperiscono funzioni intime/relazionali.
E sono proprio queste ultime ad entrare in gioco fortemente soprattutto in considerazione del fatto che attraverso le nuove tecnologie ed i social network i ragazzi verificano le loro capacità relazionali, la loro popolarità, senza dover mettere in campo la corporeità. Lo schermo del computer e del telefonino diventano formidabili strumenti per la cura della vergogna. Le emozioni non vengono più comunicate con le parole e con il linguaggio del corpo, ma attraverso simboli e “faccine”, ed il fatto di essere sempre in contatto è rassicurante e dà loro la sicurezza di essere sempre presenti nella mente dei coetanei.
Tutto questo però conduce a una perdita della dimensione pubblico/privato e spinge a un esasperato bisogno di mettersi sempre in mostra. I Like diventano l’indice di misura della popolarità ma anche un sistema di approvazione. Ecco perché un post con pochi “Mi Piace” o una foto con pochi commenti diventano quasi un dramma per un ragazzino. La Rete è ormai divenuto uno spazio di incontro e di relazione, un luogo-non luogo nel quale i ragazzi costruiscono relazioni, affetti, conflitti e comunicazioni fondamentali. Tutto questo potrebbe anche essere positivo se si trasformasse in una sorta di palestra dove allenarsi per trasportare il tutto nella vita di relazione reale, ma di fatto il risultato è una sorta di alienazione dalla realtà e di pericoloso isolamento.
Hikikomori e Fomo sono le parole ormai tristemente note che definiscono la sindrome che colpisce gli adolescenti che si rinchiudono in una stanza e rifiutano il contatto con la società, interagendo soltanto con il pc e la realtà virtuale. Come contrastare questo lato oscuro del Web? Con il buon senso, credo. Vigilate sui vostri ragazzi, osservateli, aiutateli a stabilire un buon equilibrio tra il tempo passato a chattare e quello trascorso con gli amici, o facendo sport, o altre attività ricreative. Parlate con loro, informateli dei rischi della Rete, fate in modo che non divengano dei navigatori solitari e fragili.
Be Digital, Be Social, Be Smart



