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25.06.2015 17:33

 A questo punto non si può non considerare facente parte del linguaggio narrativo anche quello del fumetto o del libro illustrato e l’illustrazione integrata al testo uno stimolo emotivo del linguaggio stesso. Durante quella che possiamo considerare la fase sincretista (della confluenza di funzioni - n.d.r) della sua esistenza, ovvero quando è portato a fondere insieme sensazioni, stimoli e percezioni, il bambino tende ad identificarsi con i sentimenti espressi dai personaggi dei fumetti che legge, o che gli leggono ed è, pertanto, su questo atteggiamento che deve far conto l’insegnante che intenda avvalersi del linguaggio narrativo - fumettistico come ausilio didattico e anche psico-pedagogico. Siccome il comportamento disadattato o comunque correlato ad handicaps di varia natura, non è da considerarsi qualitativamente differente da quello che si è soliti definire «Comportamento normale», talune strategie pedagogiche possono, entro certi limiti, essere a fattore comune. Questo asserto è valida però nella misura in cui determinati percorsi didattici vengano riconosciuti per quello che sono: mezzi di apprendimento per il bambino in difficoltà, vettori di nozione ed informazione per quello normodotato. In realtà non s’insegna e non si recupera soltanto un individuo ma si contribuisce a “costruire” un uomo od una donna per il domani del mondo. Ebbene, l’energia profusa in questo impegno, quel «fare» che i Greci chiamavano poiesìs, è bene che non vada dispersa. Affinché la poiesis possa continuare, però, bisogna lasciare che le voci dell’animo del bambino, come i personaggi del fumetto, continuino il loro racconto anche quando il fumetto si chiude, anche quando il bambino diventa un adulto. 

L’idea di voler sostenere la tesi che il fumetto sia un valido ausilio psicopedagogico, non è scaturita da una melensa esigenza di originalità ma dall’approfondimento di studi effettuati sull’argomento da illustri pedagoghi. La storia della conquista della parola e della sua organizzazione sintattico-grammaticale è fortemente radicata nella prima infanzia ed è in questa fase che tutta una serie di esperienze tattili, olfattive, mimiche ed iconiche permettono al bambino di rapportarsi ai propri simili. Fondamentalmente, il linguaggio prevalentemente iconico del fumetto va inteso come strumento di analisi, conoscenza, espressione e comunicazione della realtà personale ma anche di quella esterna al bambino; come strumento di chiarificazione e d’integrazione di quell’insostituibile mezzo di comunicazione che è la lingua. Indipendentemente dalle motivazioni o capacità del bambino, l’insegnante che impiega il fumetto con intenzionalità educativa, lo aiuta a penetrare nella propria interiorità. Quello che sembra un gioco, in effetti, lo aiuta a «sentire» a riconoscere l’altro come una realtà sempre da scoprire e con la quale rapportarsi. 

L’educatore che, prendendo spunto da un fumetto o da un’illustrazione, inviti, ad esempio, i bambini a disegnare un bosco sollecitando persino le onomatopee degli animali che vi vivono, sembra stia dando vita ad un gioco. Ed è così, ma è un gioco che con i suoi splash, plaf è capace di aiutare il fanciullo a imboccare la strada che lo porterà verso la conoscenza, la speculazione intellettuale, l’autoironia e la tolleranza. La nostra esistenza, indubbiamente, non «és sueño» ma la capacità di arricchire l’immaginazione può costituire l’esaltante viatico per il piccolo uomo/donna che imbocca la strada del domani. Come asseriva Pascoli, è bene che Egli, il bambino che sonnecchia dentro di noi, non esca mai dalla nostra vita, in modo da riuscire a guardare il mondo con incorrotti stimoli, meraviglia e curiosità: «…Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride, che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d’amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l’amore, perché accarezza esso come sorella […], accarezza e consola la bambina che è nella donna. Egli nell’interno dell’uomo serio sta ad ascoltare, ammirando, le fiabe e le leggende, e in quello dell’uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in un cantuccio dell’anima di chi più non crede, vapora d’incenso l’altarino che il bimbo ha ancora conservato da allora. Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, chè ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora…».  

E’ mia opinione che il fumetto, dopo averci accompagnato per tutto il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza, possa contribuire a far permanere nel nostro cuore, nella nostra visione del mondo, il bambino pascoliano attraverso i cui occhi la vita può apparirci ancora come una poiesìs.