"Greci si nasce", di Roberto Bernacchi

03.09.2015 16:59

 

Chi leggerà quest’articolo fino in fondo, capirà per qual imperscrutabile motivo io sia leggermente contrariato dall’atteggiamento di tutti i collaboratori di “Echiliberi” e del comitato di direzione: ogniqualvolta faccio ingresso nella sede del mensile mi sento emarginato come gli appestati nel Seicento e, francamente, non riesco a spiegarmi il perché.

Tutto cominciò da quel famigerato ottobre 2013, quando il direttore di questo periodico mi promise che, se fossi entrato a far parte del suo team di collaboratori, avrei conosciuto la fama e la ricchezza pubblicando i miei articoli.  Mi diede financo la certezza, il vigliacco, di una crescita del mio prodotto interno lordo a due cifre ed io, pur conscio di disporre soltanto di qualche centinaio di euro, non seppi resistere ed accettai, mio malgrado, l’incarico.

Va da sé che, per entrare nel club delle prime firme di uno stimato mensile, avrei dovuto investire sulla mia immagine: di lì la scelta, obbligata, di acquistare l’ultimo modello di Ultrabook, iPad, auto di rappresentanza, ufficio con segretaria particolare ed altri status symbol di cui non mi pare necessario fare menzione. Non disponendo di fondi adeguati, mi recai inizialmente presso i miei parenti più stretti, i quali, inspiegabilmente, avendomi già concesso dei prestiti in passato, mi richiesero di cercare altrove i quattrini a me necessari. Cominciò così un balletto tra vari istituti di credito che, seppur a tassi di interesse sempre crescenti, a fronte delle referenze rilasciatemi dal direttore, non ebbero alcuna remora a concedermi i finanziamenti richiesti. 

Alcuni mesi fa, comprando una copia di questo mensile, lessi che alcune delle banche che mi avevano concesso dei prestiti stavano subendo, inaspettatamente, una crisi di liquidità: venni tosto convocato dai rispettivi funzionari che mi chiedevano il rientro dei capitali. Chiamai immediatamente il direttore, lamentando il fatto che tutte le sue promesse di sviluppo della mia economia familiare erano state vane e che nemmeno la stipula di duecentocinquanta abbonamenti mensili ad “Echiliberi”, sottoscritti da me e dai miei parenti più stretti, mi avevano portato alcun vantaggio, come da lui sbandierato.

Questi, timoroso di una diaspora dei vari collaboratori, cui aveva fatto le stesse promesse, ebbe un’idea folgorante: prese contatto con i funzionari delle varie banche, li riunì tutti attorno ad un tavolo, e definì con loro la creazione di un fondo salva-opinionisti cui affidare un passaggio delle quote debitorie a mio carico ad alcuni altri collaboratori del giornale e membri del comitato di redazione. D’altronde, pensava, altri giornalisti di “Echiliberi” godono di situazioni economiche ben più floride e soccorrere un collega in difficoltà per loro non è certo un problema, cogliendo in questo modo i due classici piccioni con una singola fava: accontentare le banche cui lui stesso aveva fornito le referenze sulla mia persona perché, si sa, è sempre meglio averle amiche, ed alleviare il peso ad un suo valente opinionista senza il quale non saprebbe come riempire due pagine al mese altro che con “spataffiate” di cronaca rosa, foto di tette e culi (che comunque potrebbero avere un effetto positivo sulle vendite…), e dissertazioni infinite sugli ultimi casi da moviola del campionato di calcio italiano.

Fu così che, sotto la guida del merkeliano direttore del nostro amato periodico, io potei mantenere la casa al mare, uno chalet sulle Alpi che avevo acquistato grazie ai miei sacrifici testimoniati dal sudore che ha sempre imperlato la mia fronte, forse unicamente per la mancanza dell’aria condizionata che la già menzionata segretaria particolare aveva dimenticato di accendere.

Il mio sogno di gloria crollò quel giorno in cui mi venne chiesto di vendere il mio amato casale nelle campagne della Toscana per cui fui costretto ad una scelta epocale: rifiutarmi di ripagare gli interessi ad uno dei componenti del comitato di redazione, il famigerato Verdefoglia. Questi non ne volle sapere e mise in giro la voce, il marrano, che non ero più intenzionato ad onorare i miei debiti. A questo punto non mi restava altro che chiedere alla mia famiglia, con un democratico referendum, se mantenere o meno le nostre proprietà ed, inspiegabilmente, la risposta fu inequivocabile: «Col cavolo che rinunciamo ad un solo mattone del nostro casale, in compenso chiediamo al comitato di redazione di recedere dalle sue inaccettabili richieste e di tagliarci il debito».

Fu così che mi presentai baldanzoso nella sede del mensile ed esposi il mio piano di sviluppo. Serbo ancora integro il ricordo della cadrega lanciatami contro da una nota pedagogista/articolista e stampatasi contro lo stipite della porta che ebbi la rapidità di raggiungere e chiudere dietro di me. Anche il direttore non mi risponde più al telefono e si è ampiamente risentito di questo mio atteggiamento ribelle, preso com’è a cercare di tener unito il comitato di redazione, giacché qualche altro opinionista potrebbe ora tentare una fuga in avanti e fondare il proprio mensile indipendente. Quanto a me, hanno detto che alcune banche dell’est europeo potrebbero venirmi in soccorso e quantomeno nel breve termine non devo chiamare l’agenzia viaggi e disdire il mio agognato tour australiano. Vi farò sapere.

Da tutta questa storia ho tratto però tre insegnamenti:

  • se hai un debito verso qualcuno per cinquemila euro il problema è tuo; se ce l’hai da venti milioni di euro il problema è di chi te li ha prestati;
  • se sei una banca ed hai degli appoggi politici elevati, per quanto tu possa fare dei prestiti folli, potrai sempre riuscire a trovare qualcun altro a cui scaricarli;
  • se sei un italiano medio, comunque vada la vicenda greca, sai che la prenderai nel … (ometto l’ultima parola per evitare che questo articolo venga censurato dal direttore, che già è lievemente incavolato con me per il ritardo con cui il pezzo gli perverrà).

 Post scriptum. Ecco alcuni fatti che giova ricordare:

  • nel dicembre 2009 l’esposizione delle banche italiane verso la Grecia era pari a 6,86 miliardi di dollari. Oggi la loro esposizione si è ridotta a 1,6 miliardi grazie al fondo salva Stati, fortemente voluto da Francia e Germania ed imposto ai cittadini italiani dal golpe Monti. L’esposizione dei cittadini italiani, invece, è salita a 40 miliardi di euro, ma il governatore fiorentino è sereno, e ben sappiamo questo cosa significhi;
  • chi ancor oggi si chiede perché nel 2011 Sarkozy se la ridacchiasse allegramente con la Merkel alle nostre spalle vedrà come l’esposizione delle banche francesi è scesa da 78,86 miliardi di dollari ai livelli italiani mentre i crediti vantati dai cittadini francesi sono pari a 46,56 miliardi di euro. Un saldo netto invidiabile per il sistema Francia, direi!
  • La Grecia sta pagando circa il 2% di interesse sul debito mentre la Spagna e l’Italia, che della stessa Grecia sono creditori, pagano rispettivamente, in media, il 3% ed il 5%;
  • se la Grecia dovesse ottenere un taglio del debito, i quattrini prestati dalle banche franco-tedesche per agevolare l’esportazione dei loro prodotti nel paese ellenico (vedasi le commesse teutoniche di sommergibili), indirettamente li avrebbe finanziati il sistema Italia;
  • se la Grecia, per contro, dovesse ottenere ulteriori finanziamenti per il debito esistente, senza peraltro tagliare i privilegi dei pre-pensionamenti, dell’esenzione fiscale per gli armatori, (anche in Grecia ci sono i poteri forti !) ed altre misure strutturali associate, fra qualche anno vedremo prosciugare sempre più le casse dei creditori e, l’Italia è sul terzo gradino del podio di costoro.

Caro ingegnere, pochi hanno saputo spiegare con tanta chiarezza e sottile ironia ciò che sta succedendo in Grecia, e quel che temo accadrà in Italia e in Europa. Mi prendo tutte le “colpe” che mi attribuisci eccetto una: non sono un merkeliano! Anzi, spero di vero cuore che il 5 luglio sia iniziato il ridimensionamento della Merkel nell’Unione Europea. 

il direttore