Una repubblica inossidabile
Una repubblica inossidabile

La Scuola è uno dei settori più inossidabili, non c’è stata mai una riforma che sia piaciuta ai docenti ed ai loro sindacati, a parte le assunzioni di precari. Ogni anno la denatalità fa diminuire gli studenti, ma le facoltà, il numero di insegnanti e la quantità di diplomi inutili sono in constante ed inossidabile aumento
-Francesco Cosimato -
E’ curioso come gli italiani lascino passare il tempo senza preoccuparsi di ciò che sarebbe opportuno fare per uscire dal pantano in cui si trovano. E’ difficile indicare quante siano state le repubbliche italiane che si sono succedute dall’ultimo conflitto ad oggi, ma ognuna di esse, dalla prima in poi, ha delle caratteristiche comuni, inconfondibili e, purtroppo, inossidabili. Gli italiani non cambiano mai, sarà per questo che all’estero non li capisce nessuno.
La classe dirigente, pur invecchiata e priva di reputazione, pretende che i vitalizi che lucra siano un “diritto acquisito” e il problema, poi, che schiere di giovani disperati non trovino un lavoro fino ai quarant‘anni non la scalfisce neppure. Dai tempi di Mussolini, i politici hanno capito che il consenso si basa sulla capacità di assegnare pensioni, sussidi, invalidità e posti di lavoro a carico dello Stato e del parastato: è stato in questa maniera hanno ottenuto il consenso sia prima che dopo l’ultima guerra.
Il dibattito politico si concentra da anni su come spendere meno, siamo anche passati da vecchie espressioni come “riqualificare la spesa” a più attuali espressioni anglosassoni, ormai anche l’uomo della strada sa cosa vuol dire “spending review”, ma la spesa non cala, anzi continua a crescere. La burocrazia che assorbe risorse non ne vuol sapere di ridursi e, soprattutto, non ne vuol sapere di fornire servizi decenti ai cittadini. Chi lavora nella pubblica amministrazione lo sa bene, l’importante è spendere almeno tutto quello che c’è in bilancio, magari qualcosa in più dell’anno scorso. I cosiddetti “tagli agli sprechi”, di cui si riempiono la bocca tutti, quando si riescono a fare, bastano appena ad evitare un’impennata vertiginosa della spesa.
Siccome parlare della riduzione della spesa è generalmente impossibile, il dibattito pubblico si concentra sull’argomento della “equità fiscale”, una discussione infinita ed inutile che permette a tutti di sputtanare tutti senza che poi cambi nulla. Al massimo qualche politico più populista degli altri, si lancia in demagogiche dichiarazione sulla necessità di “ridurre la pressione fiscale”, ma è solo aria fritta da imbonitori pre-elettorali. Il sistema del populismo trasversale alle forze politiche pensa di far litigare gli italiani additando ora questo, ora quello come i reprobi che non vogliono pagare le tasse. Ma la balla più colossale che italiani sentono sin dagli anni ‘70 è che è tutta colpa dell‘evasione fiscale, come se sia logico dare allo Stato risorse che non è in grado di utilizzare, ma solo di sprecare. Basta dire che l‘evasione vale un tot, oculatamente scelto come maggiore del deficit, e si riesce a nascondere la perversità del sistema in un attimo grazie alla pretesa scientificità di statistiche di cui bisognerebbe conoscere almeno l‘algoritmo di calcolo. Nell’era dell’imprenditorialità dinamica, dell’uso delle nuove tecnologie e del crowdfunding (il finanziamento in rete alle aziende emergenti), ai burocrati delle aziende di Stato non gliene frega niente di tutto questo. Sono troppo legati ai politici che li terranno dove sono o che li metteranno in qualche nuova poltrona, magari con una “buonuscita” per ricompensarli dei casini che hanno combinato, più o meno come si faceva con gli amministratori delegati della vecchia Alitalia, quella società che continua ad andare male anche ora che è privata perché troppi lupi cambiano il pelo, ma non il vizio.
La Scuola è sicuramente uno dei settori più inossidabili, non c’è stata mai una riforma che sia piaciuta ai docenti ed ai loro sindacati, a parte le assunzioni di precari. Ogni anno la denatalità fa diminuire gli studenti, ma le facoltà, il numero di insegnanti e la quantità di diplomi inutili sono in constante ed inossidabile aumento
Ogni anno gli studenti occupano le aule come in una sorta di cazzeggio annuale, giusto per imparare a svolgere la funzione di vitelloni a vita sempre in cerca di una vincita al superenalotto, o di un casting fortunato al grande fratello. Quando questi giovani arrivano per vie traverse al mondo del lavoro sono pronti ad insegnare ai vecchi come si chiacchiera e si perde tempo, una bella lotta tra gli odierni rapper cannabinoidi e gli ex-sessantottini che rappresenta bene la persistenza del ribellismo inutile che affligge la nostra società ormai da troppi lustri. Naturalmente il ribellismo è una cosa seria che ci accompagna da sempre. Le celebrazioni del centenario della Prima Guerra Mondiale, per esempio, non hanno messo in evidenza come quel conflitto sia stato capace di generare, oltre ai morti, ai feriti ed ai mutilati, anche una vasta area di ex combattenti il cui disagio fu utilizzato dal fascismo per l’ascesa al potere. Quando il potere fu raggiunto, l’INPS e l’Opera Nazionale Combattenti misero a tacere il tutto distribuendo poderi e pensioni. Dopo la seconda guerra il problema si ripropose in termini pressoché identici, con l’aggravante che l’ala più pericolosa delle milizie partigiane era al soldo di una potenza straniera, l’Unione Sovietica. Il populismo cattocomunista ha brillantemente risolto questa questione, confinando in “riserve ideologiche” gli irriducibili guerriglieri del confronto bipolare. Parliamo di quelli che hanno animato gli “anni di piombo” e che, dispersi dalla lotta al terrorismo, ora vengono definiti “centri sociali”, insomma tutta quell’area che è graziosamente definita “antagonista”. Quest’area di sbandati e di teppisti ha attraversato tutta la storia repubblicana, la politica gli ha dato una sede a nostre spese, gli ha pagato le utenze e le bombolette spray, questi “bravi ragazzi” le canne, le spranghe ed i caschi se li procuravano da soli già dai tempi del collettivo di Via dei Volsci a Roma. Le tute nere le lasciano per terra dopo aver spaccato tutto quello che trovano.
Un fenomeno sempreverde è quello delle smanie associazionistiche, gli italiani hanno bisogno di far parte del maggior numero di associazioni possibili. Queste associazioni sono rigorosamente “no profit” ed ognuno degli associati afferma con orgoglio di essere “volontario”.
Oltre alla innata necessità di ricoprire qualche carica, gli italiani hanno bisogno di organizzare eventi che servono a chiedere soldi agli altri, meglio se allo Stato. Morti e sepolti i tempi delle dame di carità e delle confraternite, tutta quest’area di volontariato e di cooperativismo si attacca alla macchina pubblica come le cozze allo scoglio ed ha portato molti a considerare i fondi che lo stato destina “al sociale” come una manna caduta dal cielo. Ancora più succulento è il quid che s’impiega per l’immigrazione, come stanno accertando le inchieste su “Mafia Capitale”. La corruzione è sicuramente la cosa più inossidabile in Italia.
A queste associazioni bisogna poi aggiungere il cosiddetto “mondo delle cooperative”, un’area vasta, politicizzata e piena di soldi, una volta erano rubli, ora sono euro, ma che gode di una legislazione di favore in virtù della sua natura “cooperativa “, che delle graziose pubblicità ci mostrano come di associazioni di rinnovati proletari. Mentre la riduzione delle tasse rimane un sogno per tutti, il mondo delle cooperative veleggia con le riduzioni fiscali. Le difficoltà che, da molti anni, Ikea, Esselunga ed altre aziende italiane e straniere hanno sperimentato nell’espandere le loro attività e quindi creare posti di lavoro, sono sotto gli occhi di tutti.
Eppure ogni sera i giornalisti del piccolo schermo ci informano delle roboanti novità della politica. Chissà che cosa fumeranno questi!



